Un viaggio, tanti viaggi nella terra del popolo di Dio, nella terra di Gesù.
Una terra crocevia di popoli, con una storia antica e magnifica, ma anche controversa e difficile.
Un Dio, tante fedi, tante chiese diverse, con il loro culto, la loro tradizione, la loro liturgia e i loro simboli straordinari.
Da Nazareth a Gerusalemme, passando per Betlemme: da nord a sud di questa terra luminosa e incantevole.
La decisione di partire si prende qualche tempo prima, spinti dal desiderio di mettersi in cammino, alla ricerca di radici, in attesa di un incontro… Permane il sentimento di inadeguatezza e impreparazione.
L’ impatto con la terra di Gesù è potente…
Ci sentiamo come in viaggio verso la terra promessa!
Lì abbiamo trovato un territorio carico di storia e di fede.
Dalla Galilea alla Giudea attraverso la Samaria, da Nazareth a Gerusalemme, ripercorriamo la vita di Gesù.
Abbiamo incontrato i villaggi che si ritrovano nel Vangelo: Nazareth, il villaggio di Maria e Giuseppe, del loro incontro, della loro vita paradossale e miracolosa; il Monte Tabor, il luogo della Trasfigurazione di Gesù, alla presenza di Pietro, Giacomo e Giovanni; il Lago di Tiberiade, che se lo si attraversa in barca, ci si emoziona, ripensando alla pesca miracolosa e alla tempesta sedata. Quando attraversiamo il lago, soffia un venticello leggero che invita alla riflessione e alla preghiera.
Il giorno successivo, la nostra guida spirituale propone, Vangelo in mano, la salita al monte delle Beatitudini: da questa altura, Gesù ha annunciato la sua linea costituzionale, sconvolgente oggi, come allora.
Quando si arriva a Cafarnao, gli scavi archeologici ci riportano al tempo della sua vita pubblica, alla sua vita quotidiana, trascorsa tra le case e la sinagoga a incontrare donne e uomini del suo tempo con le loro malattie, i loro bisogni, le loro domande, le loro speranze…
Oggi siamo diretti a Nablus o Sicar, il villaggio del pozzo di Giacobbe dove Gesù ha incontrato e parlato a quattr’occhi con la donna samaritana e le ha donato un’acqua per la sua vita.
Finalmente si raggiunge il deserto di Giuda camminando sul vecchio sentiero ancora percorso dai pellegrini.
È un deserto di roccia chiara in cui si può intravvedere, abbarbicato lì, un antico monastero ortodosso, in cui vivono e pregano alcuni monaci eremiti; nel deserto, la luce che si riflette sulla roccia chiara, crea un clima di serenità e attesa, desiderio di sostare a pregare. Anche noi pellegrini, lì, abbiamo potuto pregare, rileggendo nel Vangelo il brano delle tentazioni di Gesù.
Finalmente a Gerusalemme: una città in cui respira e vive il mondo intero.
Una città piena di simboli religiosi: di campanili e minareti, di moschee e sinagoghe.
È la città dove la voce del muezzin risuona nell’aria tersa e si incontra con i rintocchi delle campane.
È la città dove il cristianesimo, rivela tutta la sua magnificenza benedetta e le sue contraddizioni.
Quanti cristiani si incontrano a Gerusalemme! Quanti cristiani si incontrano nella terra di Gesù! Ognuno con i propri spazi sacri, con la propria liturgia, con la propria devozione…
Gerusalemme è anche la città della cupola d’oro, è la città della Spianata del tempio e del Muro del Pianto, dove gli Ebrei, donne e uomini, rigorosamente separati, con la torah in mano, recitano le loro preghiere, compiono i loro riti, dopo essersi debitamente purificati, prima di avvicinarsi al luogo sacro.
Noi, pellegrini cristiani, tentiamo timidamente di avvicinarci a questo luogo così importante per gli ebrei e il loro culto. Dopo essere passati attraverso i check-point e aver mostrato, come all’arrivo all’aeroporto, il nostro piccolo bagaglio di pellegrini.
Anche qui, come allo sbarco a Tel Aviv, percepiamo il clima di Gerusalemme, una città in cui i controlli sono regola quotidiana, in cui i giovanissimi soldati, camminano per le strade, armati. Magari già reduci dal servizio militare.
Un po’ timorosi e impacciati ci avviciniamo al Muro bianco, cercando il nostro piccolo spazio per rivolgerci a Dio: preghiamo per gli ebrei, chiedendo a Dio Padre, la pace per loro e i fratelli arabi.
Gerusalemme che presenta un crogiuolo di diversa umanità, città dai quartieri ben separati, ma forse anche uniti, dove le persone parlano perfettamente, ebraico, arabo e inglese… Città dai diversi mercati di spezie odorose e colorate, di frutta esotica e succosa con la quale ci si può dissetare.
Appesi, in bella vista, per le donne mussulmane appaiono gli abiti lunghi e pesanti, preferibilmente di colore scuro, ma sono in vendita anche teli leggeri di colori vivaci per coprirsi il capo.
Il nostro pellegrinaggio continua per le strade della città, dopo una sosta all’Istituto Biblico dei Frati Francescani, dove abbiamo rivisto dall’alto, come in una foto istantanea, quanto avevamo visto camminando: davanti ai nostri occhi una panoramica di straordinaria bellezza che emoziona.
Si riprende il cammino sull’acciottolato un po’ in salita, o in discesa, secondo la direzione che si sceglie di percorrere, attenti alle insegne, simboli, luoghi sacri dei diversi culti; da alcuni balconi svetta la bandiera di Israele con l’azzurro della stella di Davide ben visibile.
In una strana piazzetta, Padre Giorgio, la guida sapiente del nostro pellegrinaggio, mostra due antichissime chiese, una appartenente ai cristiani copti, un’altra per i cristiani di culto greco-ortodosso.
È tempo che Padre Giorgio ci accompagni al Monte degli Ulivi, dove noi pellegrini, vogliamo trovare il “bandolo della matassa”.
Camminiamo sul sentiero che attraversa l’Orto degli Ulivi, ancora una volta emozionati e consapevoli di essere in un luogo veramente Santo.
Il giardino di alberi d’ulivo è ben curato dai frati francescani, uno di loro ci accoglie e ci consegna un ramo di ulivo.
Apriamo il Vangelo di Marco per leggere il capitolo della passione e morte di Gesù per pregare in silenzio in questi luoghi santi, sforzandoci di contenere tutti in questa preghiera.
Poco distante dal monte degli Ulivi c’è un altro luogo dove i cristiani fondano la loro fede: è il sepolcro di Gesù, dove noi pellegrini abbiamo celebrato l’eucarestia al mattino molto presto: lì, in quel momento, ci siamo sentiti come Maria di Magdala che era corsa trafelata al sepolcro, per ritrovare il suo Maestro.
Anche scrivendo del nostro pellegrinaggio, il sentimento prevalente è quello della nostalgia, del desiderio vivo di tornare a Gerusalemme, per ritrovare ancora tutto, per controllare e custodire una città, che senza averne consapevolezza, ci è rimasta profondamente dentro.
Come non ricordare per sempre la città di Betlemme, piccola città palestinese, tutta seminata sulla cresta di un colle, a ricordarci la notte in cui l’angelo annunciò ai pastori la nascita di Gesù.
Noi pellegrini, invece, nella passeggiata serale abbiamo incontrato un bambinetto arabo, che senza vergogna, quasi abbracciato alle nostre gambe, chiedeva l’elemosina, tendendo una minuscola manina scura.
Betlemme ci appare come un paesino in collina, dove piccoli agglomerati di casette bianche, si raccolgono attorno al minareto da cui la voce profonda del muezzin richiama i fedeli alla preghiera.
A Betlemme abbiamo conosciuto un’esperienza di vita, vera vita, un’esperienza straordinaria: abbiamo visitato la Guest-House la Crèche, fondata dalle Figlie della Carità di S. Vincenzo de Paoli. Questa casa ospita neonati e bambini palestinesi abbandonati.
È la polizia palestinese che affida alle cure di coloro che lavorano qui, questi bambini sottoalimentati, picchiati o testimoni di una tragica morte dei genitori. Abbiamo avuto l’opportunità di ascoltare da Suor Maria, una vitalissima suora sarda, l’esperienza dell’attività di accoglienza delle mamme che arrivano clandestinamente alla Crèche. Queste giovani ragazze si rifugiano e chiedono protezione: non vogliono abortire e non possono restare in famiglia, possono solo rifugiarsi alla Crèche.
Prima di accompagnarci ad incontrare i piccoli, suor Maria, conclude, dicendo ad alta voce, che la loro Casa vive di Provvidenza, tutti i giorni, anche a piccole gocce, la Provvidenza è sempre presente.
Alla Crèche, Gesù, nasce ogni giorno.
Quando con nostalgia, ripensiamo all’esperienza del pellegrinaggio nella terra di Gesù il sentimento prevalente è quello della gratitudine verso gli organizzatori del viaggio: Alberto, don Matteo, Padre Giorgio. Ci siamo sentiti accuditi e guidati alla scoperta dei luoghi e della loro storia, ma soprattutto ci siamo sentiti accompagnati in un cammino di scoperta delle radici della nostra fede.
L’ultimo pensiero è per i nostri compagni di viaggio con i quali abbiamo avuto dialoghi sinceri, franchi, conoscevamo poche persone ma con il passare dei giorni, cresceva il desiderio di raccontarsi. Tanti portavano con sé una ferita. Tutti il desiderio di vivere un’esperienza profonda e intensa. Grazie a tutti e ciascuno